lunedì 29 novembre 2010

da http://rampini.blogautore.repubblica.it/

22
nov
2010

Il buio dopo il Dalai Lama

L’annuncio del Dalai Lama sul suo possibile ritiro “in pensione” entro sei mesi è accompagnato da altre due svolte clamorose: il leader buddista ha lasciato aperta la possibilità di essere l’ultimo Dalai Lama, l’ultimo cioè a cumulare la carica religiosa e quella di capo del governo tibetano in esilio. Ha anche ipotizzato però che dopo di lui quel ruolo potrebbe spettare a una donna. Questo lascia aperta la possibilità che i giochi per la successione si facciano mentre lui è ancora vivo. Uno scenario che viene visto con ostilità dalla Cina.

L’uscita di oggi è il tassello di una strategia che il leader tibetano iniziò a svelare tre anni fa, nel novembre 2007. Già allora indiciò che il prossimo Dalai Lama potrebbe essere designato mentre l’attuale leader spirituale dei buddisti tibetani è ancora in vita, rompendo la tradizione secolare che fissa la scelta del successore dopo la sua morte. Lo disse durante una visita in Giappone, quasi clandestina perché i rappresentanti del governo di Tokyo rifiutarono di riceverlo e perfino di dargli una scorta, per non scatenare l’ira del governo cinese.

Lo strappo annunciato rispetto alle antiche consuetudini religiose è un segnale dell’estrema tensione sulla successione. I dirigenti della Repubblica popolare, convinti che il tempo giochi in loro favore, hanno pianificato la soluzione finale al problema del Tibet: alla morte del Dalai Lama imporranno un leader di loro gradimento per spegnere definitivamente ogni velleità di autonomia religiosa.

Dal 1959, quando il Dalai Lama fuggì dalla sua terra occupata dall’esercito cinese e trovò asilo nella città indiana di Dharmsala, questo esule carismatico è sempre stato una spina nel fianco per la nomenklatura comunista e un ostacolo alla “normalizzazione”.

Ora il regime cinese punta tutto sulla sua morte. L’ultima legge varata a Pechino dall’Amministrazione statale degli Affari religiosi, il cosiddetto Ordine numero 5, s’intitola “Misure amministrative per la Reincarnazione dei Budda viventi nel Tibet”. Lo Stato cinese si arroga l’ultima parola anche in questo campo, per far sì che il prossimo leader buddista sia un docile fantoccio nelle sue mani.

“Il popolo tibetano – ha dichiarò il Dalai Lama in un’intervista al quotidiano giapponese Sankei Shimbun – non riconoscerebbe un successore selezionato dalla Cina dopo la mia morte. Se i tibetani desiderano mantenere il sistema dei Dalai Lama, una possibilità è designare il prossimo mentre io sono ancora vivo. Tra le opzioni in discussione c’è una selezione democratica operata dai più autorevoli monaci del buddismo tibetano, oppure una nomina fatta da me”.

deforestazione e il degrado del delicato ecosistema nella regione himalayana.

Pechino ha già fornito un assaggio dei metodi che può utilizzare per blindare la successione. Nel 1995 il Dalai Lama aveva scelto un bambino di 6 anni, Gendun Choekyi Nyima, per farne l’undicesimo Panchen Lama, la seconda figura spirituale più rispettata dai buddisti tibetani. Il bambino e la sua famiglia furono fatti sparire e non si sono mai più avute notizie su di loro. Il governo della Repubblica popolare sostiene di tenerli in un luogo segreto per “proteggerli”. Nel frattempo le autorità comuniste hanno designato un altro Panchen Lama, Gyaltsen Norbu, dal quale pretendono una fedeltà assoluta alla Cina.220px-Dalai_Lama_1430_Luca_Galuzzi_2007crop

Scritto lunedì, 22 novembre 2010 alle 19:18 nella categoria Cina politica, Tibet, diritti umani, religione.

Quando si è visto una volta sola
lo splendore della felicità
sul viso di una persona
che si ama,
si sa che per un uomo
non ci può essere
altra vocazione
che suscitare questa luce
sui visi che lo circondano


Albert Camus