sabato 2 maggio 2009

Spengimi gli occhi, ed io Ti vedo ancora;
rendimi sordo, e sento la tua voce;
mozzami i piedi, e corro la tua strada;
senza favella, a Te sciorrei preghiere.
Dirompimi le braccia, ed io Ti stringo
col cuore mio, fatto, repente, mano.
Se fermi il cuore, batte il mio cervello;
ardi anche questo: ed il mio sangue, allora
Ti accoglierà, Signore, in ogni stilla.
(Rilke)

venerdì 1 maggio 2009

Atto d'Amore
Ada Negri

Non seppi dirti quant'io t'amo, Dio
nel quale credo, Dio che sei la vita
vivente, e quella già vissuta e quella
ch'è da viver più oltre: oltre i confini
dei mondi, e dove non esiste il tempo.
Non seppi; - ma a Te nulla occulto resta
di ciò che tace nel profondo. Ogni atto
di vita, in me, fu amore. Ed io credetti
fosse per l'uomo, o l'opera, o la patria
terrena, o i nati dal mio saldo ceppo,
o i fior, le piante, i frutti che dal sole
hanno sostanza, nutrimento e luce;
ma fu amore di Te, che in ogni cosa
e creatura sei presente. Ed ora
che ad uno ad uno caddero al mio fianco
i compagni di strada, e più sommesse
si fan le voci della terra, il tuo
Volto rifulge di splendor più forte
e la tua voce è cantico di gloria.
Or - Dio che sempre amai - t'amo sapendo
d'amarti; e l'ineffabile certezza
che tutto fu giustizia, anche il dolore,
tutto fu bene, anche il mio male, tutto
per me Tu fosti e sei, mi fa tremante
d'una gioia più grande della morte.
Resta con me, poiché la sera scende
sulla mia casa, con misericordia
d'ombre e di stelle. Ch'io ti porga, al desco
umile, il poco pane e l'acqua pura
della mia povertà. Resta Tu solo
accanto a me tua serva; e nel silenzio
degli esseri, il mio cuore oda Te solo.
Il bene perduto:
un breve razzo inlacrime caduto.
ciò che avevo afferrato bramosa,
nella mano stretta si sfece,
come a sera la rosa
sotto la volta dell'eternità.
Tutto impallidì, si tacque,
perse colore e sapore,
(e più quel che più mi piacque).

O. Mazzoni
Un avvenimento doloroso, la morte di una persona, la malattia di un familiare, una bocciatura, sollecitano il nostro io, la nostra persona: la sollecitano a un recupero di ciò che è vero, mi sollecitano a recuperare ciò che è definitivamente vero per me, qlcs che dimenticavo o che ricordavo raramente.
Perciò, accettare l'avvenimento apparentemente contraddittorio a ciò per cui siamo fatti, significa sollecitare la capacità che ho di rapporto con ciò che mi costituisce al fondo o che costituisce più sicuramente la mia strada al Destino.
Comunque sia, un avvenimento quanto più è grave per noi, tanto più ci sollecita, ci urge ad aggrapparci, come giudizio e affettivamente, alla sicurezza suprema che abbiamo: la sicurezza suprema è il Destino, ciò da cui traiamo origine, ciò a cui apparteniamo.
Nel contatto con la realtà siamo sollecitati a sviluppare il nostro rapporto con l'essere, il nostro rapporto con ciò da cui tutto nasce, da cui, soprattutto, il nostro io nasce. Nel contatto con la realtà siamo sollecitati e invitati a sviluppare la coscienza che abbiamo di ciò a cui apparteniamo, o del Destino cui andiamo, che è lo stesso.
Se l'avvenimento in cui il contatto con la realtà si traduce - il contatto con la realtà è un avvenimento - è immediatamente contraddittorio alla nostra aspirazione, ciò ci costringe ad andare più sotto. Se tu nel fare una casa trovi terreno instabile, vai più sotto, scavi più sotto per trovare il fondamento, e sul fondamento giusto costruisci. Perciò, chi ha vissuto il dolore nella vita, se 'ha accettato, è perchè dal dolore si è fatto condurre più sotto nella profondità più vera del cuore.
E così risulta un uomo a cui uno ricorre con più fiducia, che gli altri che lo conoscono stimano, ha una figura, una faccia più potente, ha un viso più umano. Chi vive senza dolore e senza fatica, nel tempo, se in qlc modo la sollecitazione al vero nn gli arriva da altro, è insipido, cresce insipido, cresce piu superficiale.
Insomma, se siamo fatti e tutto ciò che accade nasce dalla stessa cosa da cui noi siamo fatti ( perchè tutto ha la stessa origine: dal mistero da cui trae consistenza la nostra vita, trae consistenza anche l'esistenza di tutto il resto), qualsiasi incontro nella vita, qualsiasi impatto con la realtà nn ha altro scopo che sollecitarci a una più profonda conoscenza, coscienza e affezione a ciò da cui deriviamo e, perciò, al nostro Destino. Qualsiasi impatto con la realtà è destinato così a rendere più energica, più ricca, la nostra personalità.

Luigi Giussani

lunedì 27 aprile 2009

«Donna non piangere»
di Luigi Giussani
Quella sera Gesù fu interrotto, fermato nel suo cammino al villaggio cui era destinato, cui si era destinato, perché c’era un pianto altissimo di donna, con un grido di dolore che percuoteva il cuore di tutti i presenti, ma che percuoteva, che ha percosso innanzitutto il cuore di Cristo. «Donna, non piangere!». Mai vista, mai conosciuta prima. «Donna, non piangere!». Che sostegno poteva avere quella donna che ascoltava la parola che Gesù diceva a lei? «Donna, non piangere!»: quando si rientra in casa, quando si va sul tram, quando si sale sul treno, quando si vede la coda delle automobili per le strade, quando si pensa a tutta la farragine di cose che interessano la vita di milioni e milioni di uomini, centinaia di milioni di uomini… Come è decisivo lo sguardo che un bambino o un grande «grande» avrebbero portato a quell’uomo, che veniva in capo a un gruppetto di amici e non aveva mai visto quella donna, ma si è fermato quando il suono, il riverbero del pianto è giunto fino a Lui! «Donna, non piangere!», come se nessuno la conoscesse, come se nessuno la riconoscesse più intensamente, più totalmente, più decisivamente di Lui! «Donna, non piangere!». Quando vediamo – come vi ho detto prima – tutto il movimento del mondo, nel cui fiume, nei cui ruscelli tutti gli uomini si rendono presenti alla vita, rendono presente la vita a sé, l’incognita della fine non è altro che l’incognita del come si è giunti a questa novità, quella novità che fa trovare un uomo, fa incontrare un uomo mai visto che, di fronte al dolore della donna che vede per la prima volta, le dice: «Donna, non piangere!». «Donna, non piangere!». «Donna, non piangere!»: questo è il cuore con cui noi siamo messi davanti allo sguardo e davanti alla tristezza, davanti al dolore di tutta la gente con cui entriamo in rapporto, per la strada o nel viaggio, nei nostri viaggi. «Donna, non piangere!». Che cosa inimmaginabile è che Dio – “Dio”, Colui che fa tutto il mondo in questo momento –, vedendo e ascoltando l’uomo, possa dire: «Uomo, non piangere!», «Tu, non piangere!», «Non piangere, perché non è per la morte, ma per la vita che ti ho fatto! Io ti ho messo al mondo e ti ho messo in una compagnia grande di gente!». Uomo, donna, ragazzo, ragazza, tu, voi, non piangete! Non piangete! C’è uno sguardo e un cuore che vi penetra fino nel midollo delle ossa e vi ama fin nel vostro destino, uno sguardo e un cuore che nessuno può fuorviare, nessuno può rendere incapace di dire quel che pensa e quel che sente, nessuno può rendere impotente! «Gloria Dei vivens homo». La gloria di Dio, la grandezza di Colui che fa le stelle del cielo, che mette nel mare goccia a goccia tutto l’azzurro che lo definisce, è l’uomo che vive. Non c’è nulla che possa sospendere quell’impeto immediato di amore, di attaccamento, di stima, di speranza. Perché è diventato speranza per ognuno che Lo ha visto, che ha sentito: «Donna, non piangere!», che ha udito Gesù dir così: «Donna, non piangere!». Non c’è nulla che possa fermare la sicurezza di un destino misterioso e buono! Noi siamo insieme dicendoci: «Tu, non t’ho mai visto, non so chi sei: non piangere!». Perché il pianto è il tuo destino, sembra essere il tuo destino inevitabile: «Uomo, non piangere!». «Gloria Dei vivens homo»: la gloria di Dio – quella per cui sorregge il mondo, l’universo – è l’uomo che vive, ogni uomo che vive: l’uomo che vive, la donna che piange, la donna che sorride, il bambino, la donna che muore madre. «Gloria Dei vivens homo». Noi vogliamo questo e nient’altro che questo, che la gloria di Dio sia palesata a tutto il mondo e tocchi tutti gli ambiti della terra: le foglie, tutte le foglie dei fiori e tutti i cuori degli uomini. Non ci siamo mai visti, ma questo è ciò che vediamo tra noi, ciò che sentiamo tra noi.

sabato 18 aprile 2009

Parsifal (Canzone dell'ideale)
Claudio Chieff0

Parsifal, Parsifal non ti fermare
e lascia sempre che sia

la voce unica dell’Ideale
ad indicarti la via.
Sarò con te

io ti ho messo una mano sul cuore

Non fermarti alla corte delle anime nane
che ripetono i gesti e non sanno capire
non salire al castello dei giovani giusti
che adorano il sole:
è quel sole lo specchio di chi non si vuole vedere.


Parsifal, Parsifal devi lottare
devi cercare dov’è

il punto fermo tra le onde del mare
e quest'isola c’è.
Sarò con te

io ti ho messo una mano sul cuore

Io sapevo da sempre che avresti tradito
mille volte in un giorno

e poi mille altre ancora,
ma i tuoi occhi che cercano

son gli occhi di chi si sorprende ferito
e il mio braccio è più forte del male
più grande dell’ora.


Parsifal, Parsifal non ti fermare
e lascia dunque che sia
la voce unica dell'ideale
ad indicarti la via.
Sarò con te
io ti ho messo una mano sul cuore
sarò con te
come un fuoco che dentro non muore.

venerdì 17 aprile 2009

QUELLO CHE NESSUNO DICE SU TERREMOTO E CRISI ECONOMICA
di Antonio Socci

Pare che un giornalista inviato in Abruzzo se ne sia uscito con un lapsus memorabile: “Finalmente all’Aquila qualcosa si muove”. Anche più di qualcosa.
Di certo il terremoto è arrivato anche nelle coscienze: degli abruzzesi e di tutti noi. Ma intellettuali e giornalisti hanno la malattia sessantottina: quel “tutto è politica” che acceca e induce a ridurre sempre tutto alla polemica politica e sociale, come se il terremoto fosse colpa del governo. Perdendo di vista le questioni di fondo, le grandi domande sul senso della vita, ritenute, marxianamente, “sovrastruttura”.


Come insegna il Leopardi dello “sterminator Vesuvio”, la vera saggezza sta anzitutto nel riconoscere quello smarrimento, quella fragilità della nostra esistenza e la precarietà delle cose più solide su cui investiamo (il mitico “mattone”). Fragilità e mortalità che è la nostra vera condizione, sempre, pure senza terremoti: è la realtà che non vogliamo vedere.

L’invito di Gesù a costruire la propria casa sulla Roccia anziché sulla sabbia non era relativo al regolamento edilizio e alle tecniche architettoniche (anche se – considerati i fatti – andrebbe preso alla lettera pure in quel senso). Ma era una esortazione a fondare la propria vita sulla Roccia che nessuno può spazzar via o demolire: lui stesso. Capace di vincere perfino la morte e dunque di restituirci per sempre tutti coloro che abbiamo amato e perduto. Questa è l’unica novità, ha gridato il Papa a Pasqua e ritrovare coloro che ci sono stati strappati sarà una festa senza fine.

Anche la recente esplosione della crisi finanziaria ed economica aveva prodotto lo stesso senso di insicurezza e lo stesso smarrimento. E Benedetto XVI aveva ricordato che l’unico “investimento” che non va incontro a crolli, fregature e delusioni, ma frutta sempre un capitale infinito, è quello fatto da coloro che seguirono Gesù che ricevettero e ricevono quaggiù il centuplo di quello che avevano investito e poi la vita eterna.

Pure Lucia Annunziata ieri sulla “Stampa” ha messo in relazione il senso di insicurezza prodotta dal terremoto con quello analogo derivato dal crollo delle Borse e dalla crisi. Scrive: “Il tremito che ha scosso l’Abruzzo… è stato nel nostro paese un momento quasi catartico di risveglio: la materializzazione dello sfascio, della fragilità, della insicurezza su cui poggiano i nostri piedi, è stata la stessa che la crisi economica filtra nella nostra coscienza. Il tremore della terra è diventato il segno di tempi più duri per tutti”.

Poi l’Annunziata ha citato l’economista francese Jean-Paul Fitoussi che sente aria di rivolta popolare per la crisi e annuncia: “le fondamenta della democrazia sono in pericolo”. Ecco il problema: le fondamenta. Noi che sappiamo renderci conto che le case hanno bisogno di fondamenta stabili per non crollare al terremoto non sappiamo accorgerci che anche la nostra vita, la democrazia e la nostra civiltà hanno bisogno di fondamenta certe e stabili. E non sappiamo interrogarci su quali esse siano. Un albero senza radici muore e crolla. Quali sono le nostre radici?

Qualche anno fa i cinesi si sono posti il problema di capire quali fossero stati le radici del grande sviluppo e del grande benessere che, nel corso dei secoli, è fiorito in Occidente e che è dilagato poi in tutto il mondo. I cinesi hanno interpellato gli esperti e l’Accademia delle scienze sociali della Repubblica popolare cinese, sebbene comunista, nel 2002 è arrivata a queste clamorose conclusioni: “Una delle cose che ci è stato chiesto di indagare era che cosa spiegasse il successo, anzi, la superiorità dell’Occidente su tutto il mondo. Abbiamo studiato tutto ciò che è stato possibile dal punto di vista storico, politico, economico e culturale.

Inizialmente abbiamo pensato che la causa fosse che avevate cannoni più potenti dei nostri. Poi abbiamo pensato che fosse perché avevate il sistema politico migliore. Poi ci siamo concentrati sul vostro sistema economico. Ma negli ultimi vent’anni abbiamo compreso che il cuore della vostra cultura è la vostra religione: il cristianesimo. Questa è la ragione per cui l’Occidente è stato così potente. Il fondamento morale cristiano della vita sociale e culturale è ciò che ha reso possibile la comparsa del capitalismo e poi la riuscita transizione alla politica democratica. Su questo non abbiamo alcun dubbio”.

La controprova è evidente: quando l’Europa ha violentemente abbandonato il cristianesimo, con le ideologie anticristiane del XX secolo, ha segato il ramo su cui stava seduta e si è buttata nel baratro e nella rovina. La stessa attuale crisi finanziaria ha ragioni morali, è stata provocata dalla secolarizzazione cioè dalla sostituzione di una vera moralità con la religione del profitto ad ogni costo, la religione del pescecane: Usura, Lussuria e Potere.

Tutto questo dovrebbe far riflettere l’establishment che domina i media, sempre così animato da ostilità anticristiana. Dovrebbe riflettere chi indica come traguardi di civiltà quelle battaglie radicali che spazzano via i valori umani insegnatici dal cristianesimo (la sacralità della vita, la famiglia naturale, la sessualità fra uomo e donna). E anche coloro che di fronte al terremoto non hanno trovato di meglio che proporre di sottrarre alla Chiesa le offerte ad essa devolute dagli italiani con l’otto per mille. Sono così tanti nel nostro sistema gli sperperi, i ladrocini e le regalìe che se vogliamo trovare i fondi per la ricostruzione davvero non manca dove cercarli. Evitando di assestare un colpo sulla Chiesa, dopo che il terremoto lo ha assestato sulle “99 chiese” dell’Aquila. Anche perché il sistema dell’otto per mille e prima della congrua è nato come parziale risarcimento dei colossali espropri compiuti contro la Chiesa dallo stato risorgimentale. La Chiesa, prima dell’enorme confisca, viveva tranquillamente con quei fondi e quelle proprietà che nel corso dei secoli le erano state donate dai suoi figli. Essa è un mare, diceva il Manzoni, che redistribuisce ciò che i fiumi gli portano.

Da ricostruire dunque non è solo l’Aquila, ma la nostra stessa civiltà e anche un sistema economico più corretto. Ma si può costruire solo sul fondamento saldo della nostra storia. L’albero può crescere solo se ha radici profonde. E le case se c’è una chiesa.

Nella seconda guerra mondiale Londra fu distrutta dai bombardamenti tedeschi. Nel dopoguerra, il grande poeta Thomas S. Eliot, per raccogliere fondi per la ricostruzione delle chiese, scrisse una delle sue opere più straordinarie, “La Roccia”, che è la metafora di Cristo e di San Pietro. In quel poema Eliot s’interrogava proprio sul senso del tempo, sul male nella storia, sul fluire delle cose, sulla stabilità delle case e sulla costruzione della città umana. Dove c’è sempre qualcuno che dice: possiamo fare a meno della Chiesa. E dove tutto frana se il cristianesimo è sostituito dalla nuova religione fondata su “Usura, Lussuria e Potere”.

Il suo Canto dei Costruttori dice: “Le braccia si tenderanno/ Con dita non piegate/ mentre le voci discuteranno/ Di denaro speso male/ e il letto senza coperta/ e la grata senza fuoco/ e il lume non alimentato?/ Fino a quando attenderemo? Una Chiesa per noi tutti e lavoro per ognuno/ e il mondo di Dio per tutti noi fino a quando esso durerà”.

Anche la bella e significativa iniziativa di Libero (la ricostruzione dell’oratorio Don Bosco dell’Aquila) si può spiegare con i versi di Eliot: “costruiremo l’inizio e la fine di questa strada/ Noi costruiamo il senso”. Da giovane ho partecipato, con i campi di Comunione e liberazione, sia al soccorso del Friuli che a quello per l’Irpinia. Dove leggevamo questo bellissimo poema di Eliot, su cui dovremmo riflettere anche oggi che le fluttuazioni della City londinese o newyorkese che vollero fare a meno della Chiesa e dai suoi valori morali, come intuiva il poeta, rischiano di portare alla rovina della città.

Da “Libero” 15 aprile 2009