giovedì 22 ottobre 2009

Lo statuto biologico e ontologico dell’embrione

ROMA, lunedì, 4 febbraio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica l'intervento del dottor Renzo Puccetti, Specialista in Medicina Interna e Segretario del Comitato “Scienza & Vita” di Pisa-Livorno.
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Salve, complimenti per la vostra ottima rubrica scientifica e culturale. Sono un docente di religione, ma in questo momento sto facendo un tirocinio per prendere un'abilitazione in storia e filosofia (sono laureato anche in filosofia); e siccome dovrò affrontare l'argomento se l'embrione è individuo/persona, nell'ambito dell'epistemologia che stanno studiando a scuola (un liceo scientifico), volevo avere delucidazioni a livello scientifico-biologico che giustifichino il divieto assoluto di manipolare la sacralità della vita. Grazie e a presto. L.P.

Ringrazio il lettore per la domanda che consente di fornire qualche elemento utile per inquadrare la questione dell’embrione. I termini in cui la domanda è posta, al di là delle intenzioni dello scrivente, rischiano di riproporre una fallacia: stabilire prima qual è il comportamento da tenere e poi trovare le giustificazioni ad esso. La questione inerente lo statuto biologico e ontologico dell’embrione interpella coloro che vi si accostano a misurarsi ultimamente con la verità dell’embrione. In ambito medico-scientifico la via privilegiata e comunemente battuta per giungere alla verità è quella correspondista tomistica (adequatio rei et intellectus). Si tratta di un criterio in cui si riconosce nelle cose la presenza di una verità oggettiva che è comprensibile dalla ragione umana, la quale, a sua volta, è conformata in modo da potersi aprire ad essa ed accoglierla.
Certo, talora in ambito medico viene impiegato anche un criterio pragmatico che individua come vero ciò che funziona, ma anche in questo caso la ricerca di una più completa conoscenza della verità rimane sempre sullo sfondo come un’aspirazione ultima. Nello specifico ci pare necessario definire in via previa lo statuto ontologico dell’embrione, cioè capire la natura dell’embrione intesa come essenza e poi procedere alla valutazione morale dei comportamenti rivolti nei suoi confronti. Come fa notare il professor Pessina, usare il termine persona in riferimento all’embrione induce molto spesso ad una complicazione del dibattito, giacché il termine persona ha nel linguaggio comune assunto, oltre all’originale significato descrittivo, anche una connotazione valoriale. Per questo risulta più semplice sottoporre a verifica la seguente ipotesi: l’embrione è dal momento della fecondazione un individuo umano vivente?
In ambito medico legale l’analisi del DNA viene utilizzata come criterio probante per identificare l’individuo autore o vittima di un determinato delitto, o la genitorialità di un figlio, per l’identificazione dell’individuo. Il momento della singamia, cioè della fusione delle membrane dei due gameti, corrisponde al momento in cui è possibile individuare un patrimonio genetico diploide inedito, cioè non riconducibile a quello di nessun altro essere sulla terra. Prima della cariogamia (fusione dei patrimoni genetici dei gameti genitoriali) questo patrimonio non è ancora riarrangiato in una struttura identificabile anatomicamente, ma lo è già in termini funzionali. I DNA materno e paterno attivati, benché non ancora uniti fisicamente, colloquiano (1) e operano in maniera coordinata guidando il processo di avvicinamento dei pronuclei genitoriali e la formazione del fuso mitotico, prodromico alla prima divisione cellulare (2). Ulteriori conferme giungono dagli studi che hanno mostrato come gli assi embrionali sono definiti già nei minuti ed ore che seguono la singamia (3) e non, come precedentemente ritenuto, al momento della stria primitiva, elemento questo che induceva qualcuno a pensare l’embrione nei primi 14 giorni come ad un grumo di cellule.
In base alle evidenze più recenti, la posizione del secondo globulo polare, il punto di entrata dello spermatozoo e la forma dell’ovocita sono in grado d’influenzare l’asse della prima divisione cellulare che, a sua volta, determina il destino delle cellule figlie in cellule progenitrici dell’embrione e cellule progenitrici dei tessuti non embrionali (3). Una delle argomentazioni impiegate per porre in discussione in maniera alquanto surrettizia la dignità dell’embrione è quella secondo cui l’embrione non sarebbe in grado di entrare in relazione con la madre, almeno fino alla fase dell’impianto nella parete endometriale. Si tratta di un’argomentazione difficilmente sostenibile.
Dal punto di vista biologico la fase pre-impiantatoria si caratterizza per un intenso colloquio biochimico materno fetale (crosstalk) in cui si assiste alla produzione di fattori embrionali (Early Pregnancy Factor, Leukemia Inhibitory Factor, Perimplantation Factor) a cui la madre risponde con modificazioni anatomo-funzionali e fornendo substrati energetici attraverso i fluidi tubarici che sostengono il metabolismo anaerobico dell’embrione nella fase pre-impianto. Inoltre l’imprinting genomico (inattivazione epigenetica di uno degli alleli di un gene, alla base del fenomeno dell’espressione monoallelica) è in grado d’influenzare sia le relazioni materno fetali che i comportamenti e le attitudini post-natali (suzione, termoregolazione, sviluppo puberale) (4).
A queste considerazioni si possono inoltre aggiungere le osservazioni derivate in particolare dalla dottoressa Diana Bianchi che ha dimostrato la presenza di un vero e proprio “traffico cellulare” in cui cellule staminali di derivazione embrionale si collocano in numerosi organi della madre e vi persistono per decenni con funzione anche riparatoria (5;6;7). Non sembra quindi irragionevole la frase di un editoriale del British Medical Journal: «L’embrione non è passivo, ma è un attivo orchestratore del suo impianto e del suo destino» (8). A queste considerazioni che colgono nella prospettiva statica specifici aspetti della realtà dell’embrione si può aggiungere uno sguardo che cogliendo il dinamismo embrionale ne accerti la natura. Perché dall’osservazione della natura tumorale di poche cellule in un preparato citologico è universalmente accettato che la condotta clinica si disponga considerando cosa sarà di quelle cellule una volta progredite nel loro ciclo vitale, mentre dovrebbe essere illogico affermare la natura d’individuo umano mortale dell’embrione dalla sua osservazione al microscopio e soprattutto non agire pensando a come sarà una volta che abbia completato il suo sviluppo? Paradossalmente è possibile imbattersi in esimi studiosi che pretendono di mantenere separati il piano scientifico da quello etico introducendo nel discorso scientifico considerazioni ad esso assolutamente estranee.
Affermare che lo zigote (embrione unicellulare) e la morula (stadio embrionale di otto cellule) siano «progetti di individuo» (9) perché destinati a perire in altissima percentuale o per la potenziale gemellarità è un non senso logico. L’embrione è già individuo, condivide con qualsiasi individuo vivente un destino di mortalità, spontanea o provocata. Dovremmo allora forse affermare che i condannati a morte, i fanti nelle trincee e tutti i morituri non sono individui perché destinati in elevatissima percentuale ad una morte imminente? Forse che dalla gemellazione non ottieniamo pur sempre due individui, anziché due non individui? Non pare inoltre ragionevole negare l’identità individuale ovina alla pecora che ha fornito la cellula somatica da cui è derivata Dolly in virtù della potenziale clonabilità. Una volta riconosciuto quindi che «dal punto di vista biologico non c’è in sostanza nessuna discontinuità dal concepimento alla nascita» (9) l’ipotesi di «porre degli spartiacque» sulla base di «una convenzione» (9) modificabile non è innocente, ma introduce nel percorso conoscitivo un’evidente volontà manipolativa, in cui la realtà dell’altro (in questo caso dell’embrione) è funzione dell’utile che ne può derivare. Concetto pericoloso, anzi pericolosissimo quello di stabilire per convenzione quando l’altro sia intangibile, una volta comunque accertata la sua natura di individuo umano vivente. È stato fatto in passato e quando la memoria non si era ancora dissolta i medici avevano giurato che non lo avrebbero fatto mai più. Ma quei medici oggi sono morti, altre generazioni si sono succedute e la legge della caduta della civiltà descritta da Solone sembra voglia riprendere a disegnare la sua traiettoria. Stabilito che l’embrione sin dalla fecondazione è un individuo umano vivente si pone la questione morale: “Tutti gli individui umani viventi hanno diritto a che la loro vita sia rispettata?”.
Crediamo che non si possa che rispondere affermativamente, essendo la vita umana bene primario e condizione necessaria per il godimento dei beni secondari. Lo stesso concetto di legittima difesa non costituisce una deroga al principio d’intangibilità della vita umana, dal momento che non indica l’uccisione per difendersi, ma l’uccisione nel difendersi (10). Ogni volta che viene introdotto il minimo pertugio tra il concetto biologico di individuo umano vivente e quello morale di persona, senza accorgercene, pur con le intenzioni più nobili, apriamo la porta al demone dell’arbitrio. Si tratta di una minaccia estremamente reale in cui l’uomo per difendersi dai leoni si costruisce un bastone segando il ramo su cui siede al riparo dalle belve. Scrive Romano Guardini nel 1949: «Azioni eticamente sbagliate, anche se appaiono utili, alla fine conducono alla rovina. Mentire può recare vantaggio una, dieci, cento volte; alla fine stronca ciò su cui poggia la vita: nella propria interiorità il rispetto di se stessi, nel rapporto con gli altri la fiducia» (11).
Si tratta di una prospettiva consonante con quella proposta trent’anni più tardi dal filosofo ebreo tedesco Hans Jonas, fuggito dalla dittatura nazista la cui madre fu tra le vittime di Auschwitz: «Si dovranno apprendere nuovamente il rispetto e l’orrore per tutelarci dagli sbandamenti del nostro potere. Soltanto il rispetto, rivelandoci “qualcosa di sacro”, cioè d’inviolabile in qualsiasi circostanza ci preserverà anche dal profanare il presente in vista del futuro, dal voler comprare quest’ultimo al prezzo del primo. Un’eredità degradata coinvolgerebbe nel degrado anche gli eredi. Conservare intatta quell’eredità attraverso i pericoli dei tempi, anzi, contro l’agire stesso dell’uomo, non è un fine utopico, ma il fine, non poi così modesto, della responsabilità per il futuro dell’uomo» (12).
Riferimenti:
1. Ostermeier GC, Miller D, Huntriss JD, Diamond MP, Krawetz SA. Reproductive biology: delivering spermatozoan RNA to the oocyte. Nature. 2004 May 13;429(6988):154.
2. Pontifical Academy for Life. The human embryo in its preimplantation phase. Scientific aspects and bioethical considerations. http://www.academiavita.org/english/Documenti/testo/embrio/vol_embr_ingl.pdf
3. Pearson H. Your destiny, from day one. Nature. 2002 Jul 4;418(6893):14-5.
4. Isles AR, Holland AJ. Imprinted genes and mother—offspring interactions. Early Human Development (2005) 81, 73-77.
5. Bianchi DW, Fisk NM. Fetomaternal cell trafficking and the stem cell debate: gender matters. JAMA. 2007; 297(13):1489-91.
6. Bianchi DW, Romero R. Biological implications of bi-directional fetomaternal cell traffic: a summary of a National Institute of Child Health and Human Development-sponsored conference. J Matern Fetal Neonatal Med. 2003 Aug;14(2):123-9.
7. Johnson KL, Bianchi DW. Fetal cells in maternal tissue following pregnancy: what are the consequences? Hum Reprod Update. 2004 Nov-Dec;10(6):497-502.
8. Horne AW, White JO, Lalani EN. The endometrium and embryo implantation. A receptive endometrium depends on more than hormonal influences. BMJ. 2000 Nov 25;321(7272):1301-2.
9. Edoardo Boncinelli. Embrioni. Non esiste l’ora X. Corriere della Sera 26.01.2005. http://www.puntoincontro.org/Animazione/Incontri2005/05-Boncinelli1.htm
10. San Tommaso D’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q.64, a. 7.
11. Romano Guardini. Il diritto alla vita prima della nascita. Ed Morcelliana, Brescia, 2005.
12. Hans Jonas. Il principio di responsabilità. Einaudi, Torino, 1990.

mercoledì 7 ottobre 2009

La mia speranza per Caterina

06 Oct 2009 03:10 AM PDT


Domani porteremo Caterina in un altro centro ospedaliero per iniziare la fase del risveglio (dopo che i bravissimi medici di Firenze le hanno salvato la vita). Abbiamo grande fiducia anche nei medici a cui la affidiamo. Ma sarà il momento più delicato e davvero avremo tanto tanto bisogno del soccorso della Madonna perché Caterina si svegli e stia bene.
Vi ringrazio ancora, dal profondo del cuore, per tutto il vostro affetto, le vostre preghiere incessanti e le vostre commoventi offerte di sacrifici: vi sarò debitore per tutta la vita.
Riporto qua sotto ciò che ho scritto a Maurizio Belpietro, Direttore di Libero, il giornale a cui collaboro, su questi giorni che ci aspettano.

LA MIA PREGHIERA PER CATERINA

Caro Direttore,
la mia Caterina ha occhi bellissimi. La sua giovinezza ora è distesa su un letto di luce e di dolore. E’ come una Bella addormentata. Ma crocifissa. Mi trovo involontariamente “inviato” nelle regioni del dolore estremo e in questo panorama dolente – se un angelo tiene a guinzaglio l’angoscia – ci sono diverse cose che mi pare di cominciare a capire.
La prima notizia è che il mio cuore batte. Il nostro cuore continua a battere. So bene che normalmente la cosa non fa notizia. Neanche la si considera. Finché non capita che a tua figlia, nei suoi 24 anni raggianti di vita, alla vigilia della laurea in architettura per cui ha studiato cinque anni, d’improvviso una sera il cuore si ferma e senza alcuna ragione. Si ferma di colpo (o, come dicono, va in fibrillazione).
Lì, quando ti si spalanca davanti quell’abisso improvviso che ti fa urlare uno sconfinato “nooooo!!!”, cominci a capire: è la cosa meno scontata del mondo che in questo preciso istante il cuore dei tuoi bimbi, il mio cuore o il tuo, amico lettore, batta.
Quante volte ho sentito don Giussani stupirci con questa evidenza: che nessuno fa battere volontariamente il proprio cuore. E’ come un dono che si riceve di continuo, senza accorgersi. Istante per istante dipendiamo da Qualcun Altro che ci dà vita…
C’illudiamo di possedere mille cose e di essere chissacchì, ma così clamorosamente non possediamo noi stessi. Un Altro ci fa. In ogni attimo. Vengono le vertigini a pensarci. Allora si può solo mendicare, come poveri che non hanno nulla, neanche se stessi, un altro battito e un altro respiro ancora dal Signore della vita (“Gesù nostro respiro”, diceva una grande santo).
Certo, si ricorre a tutti i mezzi umani e a tutte le cure mediche. Che oggi sono eccezionali e personalmente devo ringraziare degli ottimi medici, competenti e umani. Ma anch’essi sanno di avere poteri limitati, non possono arrivare all’impossibile, non potrebbero nulla se non fosse concesso dall’alto e poi se non fossero “illuminati” e guidati.
Rex tremendae majestatis… E’ Lui il padrone e la fonte della vita e di ogni cosa che è. E i nostri bambini e le nostre figlie sono suoi. E’ teneramente loro Padre. Allora – con tutte le nostre pretese annichilite e l’anima straziata – ci si scopre poveri di tutto a mendicare la vita da “Colui che esaudisce le preghiere…”.
Mendico di poter riavere un sorriso da mia figlia, uno sguardo, una parola… D’improvviso ciò che sembrava la cosa più ovvia e scontata del mondo, ti appare come la più preziosa e quasi un sogno impossibile… Son pronto a dare tutto, tutto quello che ho, tutto quello che so e che sono, darei la vita stessa per quel tesoro.
Ci affanniamo sempre per mille cause, obiettivi, ambizioni che ci sembrano così importanti da farci trascurare i figli. Ma oggi come appare tutto senza alcun valore al confronto dello sguardo di una figlia, alla sua giovinezza in piena fioritura…
Un gran dono ha fatto Dio agli uomini rendendoli padri e madri: così tutti possono sperimentare che significhi amare un’altra creatura più di se stessi. E così abbiamo una pallida idea del suo amore e della sua compassione per noi…
Caterina è una Sua prediletta, come tutti coloro che soffrono. Mi tornano in mente le parole di quella canzone spagnola cantata splendidamente dalla mia principessa e dedicata alla Madonna, “Ojos de cielo”, che dice: “Occhi di Cielo, occhi di Cielo/ non abbandonarmi in pieno volo”.
Riascolto il suo canto, con il nodo alla gola, come la sua preghiera: “Se guardo il fondo dei tuoi occhi teneri/ mi si cancella il mondo con tutto il suo inferno./ Mi si cancella il mondo e scopro il cielo/ quando mi tuffo nei tuoi occhi teneri./ Occhi di cielo, occhi di cielo,/ non abbandonarmi in pieno volo./ Occhi di cielo, occhi di cielo,/ tutta la mia vita per questo sogno…/ Se io mi dimenticassi di ciò che è vero/ se io mi allontanassi da ciò che è sincero/ i tuoi occhi di cielo me lo ricorderebbero,/ se io mi allontanassi dal vero./ Occhi di cielo..”.
E infine quell’ultima strofa che oggi suona come un presagio: “Se il sole che mi illumina un giorno si spegnesse/ e una notte buia vincesse sulla mia vita,/ i tuoi occhi di cielo mi illuminerebbero,/ i tuoi occhi sinceri, che sono per me cammino e guida./ Occhi di cielo…”.
E’ con questa speranza certa che subito ho affidato il mio tesoro e la sua guarigione nelle mani della sua tenera Madre del Cielo. Per le parole, chiare e intramontabili di Gesù che ci incitano “chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”, che promettono “qualunque cosa chiederete al Padre nel mio nome, egli ve la darà” e che esortano a implorare senza stancarsi mai come la vedova importuna del Vangelo (che – se non altro per la sua insistenza – verrà esaudita).
Sappiamo che la Regina del Cielo è con noi: pronta ad aprirci le porte dei forzieri delle grazie. E’ lei infatti il rifugio degli afflitti e la nostra meravigliosa Avvocata che può ottenere tutto dal Figlio. Già il primo miracolo, a Cana, gli fu dolcemente “rubato” da lei che ebbe pietà di quella povera gente…
In questi giorni ho ricordato le pagine del Monfort e quelle di s. Alfonso Maria de’ Liguori, “Le glorie di Maria”. E’ stupefacente come duemila anni di santi e di sante ci invitano a essere certi del soccorso della Madonna perché “non si è mai sentito che qualcuno sia ricorso alla tua protezione, abbia implorato il tuo aiuto, abbia cercato il tuo soccorso e sia stato abbandonato” (S. Bernardo).
“Ogni bene, ogni aiuto, ogni grazia che gli uomini hanno ricevuto e riceveranno da Dio sino alla fine del mondo, tutto è venuto e verrà loro per intercessione e per mezzo di Maria” (s. Alfonso), perché così Dio ha voluto.
Infatti “nelle afflizioni tu consoli” chi in te confida, “nei pericoli tu soccorri” chi ti chiama: tu “speranza dei disperati e soccorso degli abbandonati”. Misero me se non la riconoscessi come Madre, convertendomi (questo significa: “sia fatta la tua volontà”) e lasciandomi guarire nell’anima. Per ottenere anche la guarigione del corpo.
Ma quanto è commovente accorgersi di avere una simile Madre quando si sente concretamente il suo mantello protettivo fatto dai tanti fratelli e sorelle nella fede, pronti ad aiutarti, dai giovani amici di Caterina, bei volti luminosi che condividono l’esperienza cristiana suscitata da don Giussani, dai tantissimi amici di parrocchie, comunità, dagli innumerevoli conventi di clausura e santuari – compresi radio e internet – dove in questi giorni si implora la Madonna per Caterina. Come non commuoversi?
Ho ricevuto decine di mail anche da persone lontane dalla fede che, per la commozione della vicenda di mia figlia, sono tornate a pregare, si sono riaccostate ai sacramenti dopo anni. E hanno compreso di avere una Madre buona che si può implorare e che non delude.
Ma è anzitutto della mia conversione che voglio parlare. Ci è chiesto un distacco totale da tutto ciò che non vale e non dura. Perché solo Dio non passa. Cioè resta l’amore.
Così quando ho saputo dei 4 mila bambini malati di un lebbrosario in India che, con i missionari (uomini di Dio stupendi e immensi), hanno pregato per la guarigione di Caterina, dopo l’emozione ho capito che quei bimbi da oggi fanno parte di me, della mia vita e della mia famiglia.
E così pure i poveri moribondi curati da padre Aldo Trento in Paraguay che hanno offerto le loro sofferenze per Caterina. Voglio aiutarli come posso.
Portando tutto il dolore del mondo sotto il mantello della Madre di Dio, affido a lei la guarigione di Caterina, perché torni a cantare “Ojos de cielo” per tutti i poveri della nostra Regina.
“Mia Signora, tu sola sei la consolazione che Dio mi ha donato, la guida del mio pellegrinaggio, la forza della mia debolezza, la ricchezza della mia miseria, la guarigione delle mie ferite, il sollievo dei miei dolori, la liberazione dalle mie catene, la speranza della mia salvezza: esaudisci le mie suppliche, abbi pietà dei miei sospiri, tu che se la mia regina, il rifugio, l’aiuto, la vita, la speranza e la mia forza” (S. Germano).

Antonio Socci


fonte: Libero (c) 6 ottobre 2009

lunedì 5 ottobre 2009

«Il vero pericolo della nostra epoca è la perdita del gusto della vita» (Teilhard de Chardin)
Il manifesto di Comunione e Liberazione Spagna

Potrò essere felice con un figlio inatteso? Posso rifarmi una vita con un figlio che non ho desiderato? Sarò in grado di affrontare il sacrificio e le difficoltà che ciò implica? Sono domande che molte donne si pongono di fronte a una gravidanza indesiderata.
Spesso la donna è sola di fronte alle domande che nascono insieme alla nuova vita. Il nostro dramma è la solitudine, poiché è difficile incontrare qualcuno disposto a concederci un minuto di vera compagnia umana di fronte alle difficili circostanze che dobbiamo affrontare. Ma la nostra solitudine è ancora più profonda poiché deriva dall’assenza di un significato. Dare alla luce significa introdurre nella vita, e per ciò è necessario un perché. Come ha affermato Teilhard de Chardin:«Il vero pericolo della nostra epoca è la perdita del gusto del vivere» (Pierre Teilhard de Chardin, Il fenomeno umano). La perdita del senso della vita è la causa della tragedia sociale dell’aborto nelle nostre società.Il progetto di legge del governo spagnolo è un esempio di questa tragedia. In nome del “diritto della donna di decidere” la si abbandona a una tragica solitudine. Si è giunti fino all’idea grottesca di allontanare una ragazza di sedici anni dal padre di suo figlio e dalla compagnia dei suoi genitori nel momento in cui deve prendere una decisione che segnerà tutta la sua vita. Questa solitudine è un muro, una menzogna che può essere smantellata solamente grazie a una compagnia veramente umana.2. Il progetto di legge sull’aborto del presidente Rodríguez Zapatero ha come obiettivo principale “creare” un nuovo diritto. L’aborto è esattamente il contrario. È privare della vita un figlio non nato. Come affermano i vescovi spagnoli nella loro dichiarazione sul disegno di legge: «Lo Stato concede la qualifica di diritto a qualcosa che, in realtà, è un attentato contro il diritto fondamentale alla vita», poiché nessuno ci dà la vita, ma essa proviene dal Mistero. In questo modo si scaverà una profonda ferita umana e sociale. Con questa legge, inoltre, il potere politico intende promuovere un cambio di mentalità, al fine di nascondere un’evidenza essenziale della nostra civiltà: ogni vita umana deve essere incondizionatamente protetta. Questa pretesa è del tutto evidente nell’assoluto disprezzo verso le persone disabili, alle quali si nega in modo iniquo il diritto di nascere fino all’ultimo momento.
Per parlare dell’aborto come di un diritto è necessario alterare brutalmente i dati della ragione e della scienza, resi pubblici con assoluta chiarezza dalla Dichiarazione di Madrid, un documento avallato da illustri medici e scienziati del nostro Paese. Con queste parole Pier Paolo Pasolini denunciava tale alterazione, riferendosi ai difensori della legalizzazione dell’aborto in Italia: «Ricorrono alla prevaricazione cinica dei dati di fatto e del buon senso» (Pier Paolo Pasolini, “Il coito, l’aborto, la falsa tolleranza del potere, il conformismo dei progressisti”, in Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975, p. 372).
Il Governo non oserebbe intraprendere una tale iniziativa politica se nella società non si stesse diffondendo una mentalità che, grazie a una costante pressione mediatica, è sempre più alienata dalla realtà. Com’è possibile che una parte della popolazione accetti una legge sull’aborto così in contrasto con l’evidenza, con la scienza, con la ragione e con la stessa sensibilità umana? È il risultato di una manipolazione e di un vuoto educativo. È perciò necessario ingaggiare una battaglia contro la concezione di una libertà senza vincoli, senza riferimento alla verità e senza contatto con la realtà. Si tratta di una battaglia politica, culturale ed educativa per creare nella nostra società, come ha chiesto Benedetto XVI, «un clima di gioia e di fiducia nella vita» (Viaggio apostolico di Benedetto XVI in Austria, Discorso in occasione dell’incontro con le autorità e con il corpo diplomatico, sala dei ricevimenti, Hofburg, Vienna, 7 settembre 2007).
Questa cultura della vita può rinascere se si mettono davanti agli occhi di tutti dei fatti significativi. Fatti che costituiscano, in primo luogo, una vera compagnia per le madri in difficoltà. Lo sono già numerosi servizi nati dalla libera iniziativa dei cittadini, quali l’aiuto e l’accompagnamento alle donne, e l’accoglienza di quei figli le cui madri non possono farsi carico di loro. C’è bisogno di decise politiche a favore della famiglia, della maternità e dell’adozione: misure che diano vita a un contesto sociale che favorisca il riconoscimento del valore infinito della vita umana.
Per recuperare la fiducia nella vita e, quindi, la capacità di accoglierla e di rispettarla nello stesso istante in cui nasce, abbiamo bisogno di incontrare un amore incondizionato, l’amore di qualcuno che abbracci la nostra vita con tutte le sue domande.
Riconoscere che vi è un bene che sconfigge ogni solitudine e ogni violenza è possibile solo grazie all’incontro con persone che ne diano testimonianza con la loro vita. Persone che sono l’eco di quell’uomo di Nazareth che seppe accompagnare la solitudine di una giovane madre e restituirle suo figlio con queste parole: «Donna, non piangere».

Comunione e Liberazione Spagna